Web 2.0, davvero una novità?
C’è grosso movimento, anche finanziario, attorno a quel che addetti e non addetti ai lavori ormai chiamano Web 2.0. Una “second version” di Internet – benché Internet 2 sia tutta un’altra storia -, magari riveduta e corretta, magari conscia degli errori del passato, o la stessa “vecchia zuppa” di cui, però, in molti ci siamo innamorati?
Sotto il nome di Web 2.0 ricadono tutta una serie di features e servizi che 10 anni fa – parlando dell’Italia – non potevamo neanche immaginare, vuoi per l’infima potenza strutturale (banda disponibile, costi e conseguenti comportamenti di accesso, etc..), vuoi per la scarsa dotazione strumentale, vuoi infine per la nulla coscienza e cultura della Rete: del.icio.us, Flickr, Google Maps (e Google Earth), YouTube, etc.
In questi ultimi 10 anni molte cose sono, però, cambiate: dagli eroici modemini colla loro stridula voce (e la vecchia T.U.T., incubo che ha spinto molti di noi – in primis il sottoscritto – ad adattarci a una vita notturna) siamo passati a silenziosissimi router, connessioni ad alta velocità (non garantita) fatte di rame, di fibra o di onde, ed il cui impiego non è più appannaggio di pochi eletti; dai browser (e siti Web) post-testuali, attraverso un tourbillon di animazioni (ma pure popup, malicious script, dialer, etc.), siamo passati agli aggregatori RSS, a browser iper-espandibili come Mozilla Firefox, che supportano tecniche mirabolanti come AJAX (e.g. Google Docs & Spreadsheets) e che tentano – spesso efficacemente – di evitare all’utente il ciarpame di cui sopra..
10 anni fa c’erano le Chat, evolutesi nei sistemi di Instant Messaging; oggi abbiamo il VoIP ed una serie di applicazioni per la collaborazione e la condivisione di risorse (i.e. il P2P) da far impallidire le più rosee speranze. Intanto i forum spadroneggiano mentre i cari newsgroup, almeno in Italia, sembrano scemare.
Tutto è cambiato, eppure nulla è cambiato in questi dieci anni. Le persone che bazzicano Internet, pur essendo moooooolte di più, lo fanno per lo stesso motivo di sempre: in/formarsi, comunicare, collaborare.. La sola differenza è che negli anni la tecnologia, più che evolversi in senso stretto, è diventata incredibilmente molto più potente; e la gente ne è diventata molto più avvezza. Oggigiorno si può anche non saper scrivere un documento di testo, ma si traffica lievemente su eBay comprando o vendendo le cose più disparate. Ci si apre un blog, mentre i più smaliziati creano V-blog e lanciano podcast a destra e a manca.
Una questione di bandwidth, dunque – mi ricordo ancora gli albori, in cui pagine Web oltre i 10-15Kb erano da considerarsi bandite -, ma non solo. Personalmente ritengo che la tecnologia – benché così non la si dovrebbe chiamare – che maggiormente ha influenzato, anche filosoficamente e pedagogicamente, lo sviluppo di questi anni sia stato l’XML. È grazie a questo che oggi abbiamo l’RSS ed, in generale, che possiamo far passare, e quindi condividere, dati ed informazioni da un luogo ad un altro senza doverci preoccupare di farlo a mano o con complicati interventi da programmatore.
Si parla tanto di User Generated Content come se fosse una novità, ma verrebbe da domandarsi quando mai non sia stato così.. I weblog di oggi altro non sono che una ri-edizione delle migliaia di siti Web personali che all’epoca affollavano servizi come Geocities, con in più la possibilità di farne la syndication – attraverso RSS od Atom, degli standard basati appunto su XML, od altri – e quindi di sharare qualsiasi proprio contenuto con chiunque nel mondo. Se, dunque, 10 anni fa esisteva la differenza tra webmaster “amatoriali” e “professionali”, oggi semplicemente questa differenza si è rimarcata. Da un lato l’utente qualunque, che non necessita di alcuna competenza per andare online, e dall’altro il professionista che, oltre a sviluppare siti aziendali et similia, probabilmente si dedica a creare strumenti per il prossimo blogger. Tuttavia non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Per lo meno nulla è cambiato per chi, in un certo senso, Internet (ed il Web) l’aveva sposato già da tempo, magari dai suoi inizi planetari. La prospettiva cambia tanto se consideriamo chi, invece, questa rivoluzione non l’ha mai capita né abbracciata.
Il mondo dei media tradizionali per esempio, che nel 1995 snobbava Internet, tra il 1998 ed il 2000 lo elogiava – chissà perché soprattutto nelle potenzialità finanziarie e commerciali? -, nel 2001–2002 lo criticava, dal 2003 ha ricominciato a snobbarlo e ora – che tutte le statistiche confermano una confluenza della popolazione verso il Web per avere news – comincia ad averne paura. Se già nel 2001, infatti, una vera leggiaccia comparava subliminalmente i siti Web – anche quelli personali – a testate giornalistiche (per le quali andrebbero richieste una responsabilità e un responsabile editoriale), oggi il problema, che si spera non si tenti di risolvere legislativamente, è l’attendibilità dei contenuti pubblicati autonomamente online nei blog. Che sempre più persone frequentano preferendoli, per l’auto-in/formazione, a quotidiani, radio e televisione. Molti giornali e giornalisti, in tutto il mondo, sono in stato di emergenza, anche se a mio avviso il problema è interno, e non dipendente dalle alternative che la gente possa avere per tenersi informata. Ma anche questa non è una novità..!
Pure per quelli del marketing (e/o dell’advertising) la cosa non è proprio piacevole: abituati a strumenti di broadcasting one to many – in cui per anni hanno tentato di trasformare anche Internet (non solo il Web) – devono ormai fare i conti colla realtà dei fatti che vede il Web 2.0, come il Web 1.0, un ambiente di comunicazione many to many, in cui i loro clienti non hanno alcuna possibilità di essere fonti superiori di informazione. L’ultimo portale generalista italiano, per esempio, Alice-Virgilio, riesce a malapena a far intuire i suoi obiettivi di mercato – tra i quali supportare il sistema di distribuzione TV/multimediale -, mentre il vecchio gigantesco network di Kataweb è oramai soltanto un ricordo del passato, di cui resta comunque un eccellente News aggregator delle notizie prodotte dal Gruppo Editoriale L’Espresso.
Il tutto, beninteso, mentre la pubblicità online conosce in tutto il mondo una seconda giovinezza. Grazie pure a sistemi come Google AdSense – l’evoluzione, più discreta e personalizzabile, degli ormai remoti circuiti di “scambio-banner” – e AdWords, che hanno (intelligenti!) decentrato la pubblicità, contestualizzandola al contenuto visitato o cercato anziché tentare di convogliare tutti gli utenti nello stesso luogo per poterli poi bombardare con ads generalisti. Anche il marketing e l’advertising stanno tentando di adeguarsi a questo new deal della “delocalizzazione dei contenuti”, ed in genere delle risorse: i nuovi prodotti o le nuove strategie aziendali sono centellinati attraverso i blog (spesso unofficial, in teoria), i forum dei siti specializzati – su Punto Informatico, ad esempio, il tono di molti post è inequivocabile..! – o sottoposti ad un qualcosa che sa molto di co-branding fra firme online e marchi registrati offline. Una sorta di revival delle gloriose Community – che oggi vengono chiamate Social Network per evitare pericolose confusioni con la loro deviazione markettara – però con una potenzialità di linkare contenuti dalle provenienze più disparate impossibile pure ai “tempi d’oro delle Dot-Com’s“.
Tutto tanto bello ma soprattutto tanto ufficialmente ripulito dai fantasmi del passato: aziende che di virtuale – nel significato di aleatorio – avevano solo il Business Model, tanto che al primissimo confronto col Mercato crollavano; altre che vendevano a peso d’oro servizi e competenze, ma soprattutto risultati, poco più che da parvenu; idee balzane propinate e diffuse come fossero tutte Killer Application (si pensi alle aspettative che anni fa circondavano quel tipo di tecnologia “Push” auspicata dalle aziende); eccetera, eccetera, eccetera..
Sinceramente spero – perché ho già visto cosa è successo in passato – che, aldilà di un nome nuovo per descrivere cose vecchie, ci sia pure un vero rinnovamento, più culturale che tecnologico. Tra le features che dovrà avere questa “second version“, infatti, c’è certamente una caratteristica che per troppo tempo è rimasta in secondo piano: la serietà, nel modo di pensare al business, nel modo di concepire e dunque trattare il Cliente, il lavoratore e soprattutto il medium che, alla fine, ha continuato ad essere la stessa Rete di una volta..