Il problema dell’”Usabilità Inversa”
Chi si occupa di formazione informatica di base sa quanto sia difficile fare apprendere agli allievi senza alcuna esperienza pregressa anche le più comuni funzioni del PC: spostarsi fra le “cartelle” (Directories), fare “Drag & Drop“, copiare/tagliare ed incollare files, etc.. Questo benché non sia chiesto loro di eseguire tali operazioni da linea di comando, bensì utilizzando l’interfaccia grafica. A dire la verità forse solo gli utenti più smaliziati, e non già gli utenti più di vecchia data, sono in grado di utilizzare appieno le potenzialità offerte dalla GUI.
Verrebbe da pensare che si tratti di una scarsa usabilità proprio dell’interfaccia grafica. Il mio parere è diametralmente opposto: è la sua esagerata usabilità a determinare una maggiore difficoltà d’uso.
Aldilà della relazione (tecnologica) tra interfaccia grafica ed il flusso di comandi dati all’O.S., infatti, un fatto è certo: l’interfaccia si occupa di tradurre stimoli dal linguaggio visuo-motorio dell’utente a quello, fatto di comandi (la “linea di comando“), della macchina e viceversa. Quando un utente dragga un file da una directory per dropparlo in un’altra egli percepisce lo spostamento, fisico, da un posto all’altro ma, in effetti, assiste ad un comando (“mv filename“) dato alla macchina, la quale risponde facendone vedere all’utente la nuova posizione (la path) nel filesystem (anch’esso tradotto in linguaggio visuo-motorio).
A questo scopo le varie interfacce grafiche, e soprattutto il layer che si rapporta direttamente all’O.S., sono molto intelligentemente costruite per rievocare il più possibile procedure motorie (schemi motori) già apprese dall’utente (essere umano): con un left-click del mouse noi selezioniamo un file, ma non rilasciando il tasto del mouse è come se lo afferrassimo; una volta afferratolo lo possiamo spostare da un posto (una finestra, cioè ad esempio una directory) ad un altro (ad esempio il Desktop) e per ri-depositarlo è sufficiente rilasciare il tasto del mouse. Nulla di differente dallo scegliere un oggetto da una scatola, afferrarlo, posizionarlo sopra un’altra scatola e rilasciare la presa. In teoria..
Il fatto è che i principianti del computer – e non solo.. – partono da presupposti totalmente differenti: al posto della metafora ambientale bi o tridimensionale (che aiuta l’utente trasformando la gestione del Pc in un luogo in cui muoversi e agire, come nella realtà quotidiana) spesso si aspettano precise procedure da seguire; al posto di wizard – verrebbe da pensare ad ascoltarne alcuni.. – si aspettano sequenze da consultare su tomi enciclopedici (e probabilmente dalla terminologia astrusa); al posto di un linguaggio semplice, lineare e famigliare si aspettano chissà che analogo al burocratese.. Insomma, manca poco a “Johnny Mnemonic“, con la full-immersion nell’interfaccia, e molti neofiti si aspettano la minaccia, tra “2001, Odissea nello Spazio” e “Westworld“, con gli informatici comunque ancora in camice bianco.
Beninteso, la responsabilità di questo completo fraintendimento non è di certo loro. C’è, infatti, una quantità di gente che ci marcia alla grande. Dal prossimo meno inesperto, che può vantarsi di essere “lippus in urbe caecorum” (“orbo fra ciechi“), a tutti quei soggetti che sull’inesperienza mista ad ingenuità possono costruire il proprio tornaconto: governi, produttori, indotto formativo, etc.. Una contingenza, dunque, in cui l’uso “corretto in quanto facile” è la situazione meno desiderata, e più in/volontariamente offuscata..
Pensiamo, ad esempio, alla comunicazione istituzionale: enti pubblici e privati (le aziende e le loro associazioni di categoria) da tempo affermano qua e la – e sostengono, finanziando iniziative di acquisto e di formazione – la necessità di adeguarsi almeno ad un minimo livello di alfabetizzazione informatica, e che non è neanche pensabile per un (candidato) lavoratore non possedere un grado di informatizzazione superiore. La Gente ascolta, si preoccupa – perché a tali toni allarmanti deve per forza corrispondere una difficoltà di adeguamento – e tenta di colmare il gap, andando allo sbaraglio, facendosi aiutare da parenti ed amici, comprandosi libri e/o frequentando corsi di formazione. In questo un pesante battage mediatico e pubblicitario si aggiunge alle voci istituzionali già perentorie ricordando che le autostrade digitali sono ricolme di altre pericolosissime insidie. La Gente, così, percepisce, oltre alla difficoltà, anche il rischio, e la conseguente necessità di essere ancora più attenti e preparati.
È lo stress derivato da tali pressioni – che la “nostra” generazione di utilizzatori informatici, spesso autodidatta, non ha conosciuto – che vanifica gli sforzi (già) fatti in termini di usabilità delle interfacce, o quasi. Per esempio..
- Perde affidabilità il metodo principale (autodidattico) per l’apprendimento dell’uso dell’interfaccia, ossia per “Prove ed errori“, perché si teme che un errore possa causare chissà quale catastrofica conseguenza (quando un Ctrl+Z, su Windows™, spesso è sufficiente a recuperare..);
- Lo stress – e chi ha a che fare con veri novizi lo sente palpabile – porta a ridurre la dimensione del campo attentivo, che anziché coprire tutta la superficie (e gli stimoli..) dell’interfaccia si concentra su pochi cm2;
- Il campo attentivo così ridotto inibisce la gestaltica ri-eleborazione della interfaccia come un “intero” composto da parti, gli oggetti (le finestre, le icone, i pulsanti, etc.), all’interno di cui è possibile muoversi come fosse uno spazio reale;
- Di nuovo, il ridotto campo attentivo estremizza lo stimolo locale rispetto a quelli distanti (e.g. l’utente fa un’azione da cui scaturisce una finestra di dialogo e, non notandola, resta bloccato senza capirne il perché).
Ovviamente, nessun programma di studio, né tantomeno la maggior parte dei docenti, si preoccupa di “curare” – perché si tratta di un problema non dissimile dall’aver disimparato a camminare (i.e. per una lunga degenza) e recuperarne l’abilità grazie all’aiuto di fisiatri e fisioterapisti – sia questa disabilità (carenza di interazione con l’interfaccia) che la sua eziologia (lo stress – potremmo dire – da F.U.D. su tutto ciò che concerne l’informatica). Qualche manuale tenta di raccogliere tale sfida, ma si scontra con la sua natura, essenzialmente pratica.
Così accade che ad aspiranti Web Designer si spieghi che posizionare il logo aziendale a partire dalla parte sx dell’header è una convenzione (poichè gli occidentali leggono dall’alto al basso e da sx a dx) impiegata per aumentare la usabilità della pagina Web.. ..E che la stessa lezione la si debba dare a novizi della navigazione sul Web già solo per far loro presente che lì ci sarà sempre un link di ritorno alla Home Page del sito in cui sono.
Si tratta, pertanto, di un paradosso: spiegare esplicitamente come utilizzare un qualcosa che dovrebbe essere implicitamente autoesplicativo, che si sa – per essere magari in prima persona dei produttori di quella cosa – che risponde a tutti i requisiti di usabilità, e che negli effetti non lo è solo perché gli utilizzatori rigettano pervicacemente queste sue caratteristiche in quanto troppo facili.
Paradossalmente, dunque, maggiore è l’intuitività di un’interfaccia, maggiore è (probabilmente) anche la reticenza a fruirne nel modo corretto (intuitivo). E ciò non può essere superato con interfacce ancor più intuitive, se prima non c’è un cambio di rotta di tipo culturale (come immaginiamo l’uso del computer).