I nefasti effetti sociali del F.U.D. informatico
Quest’anno, ben più che in quelli precedenti, sono stato fagocitato dall’attività formativa, tanto da aver superato con molta agilità sia la soglia formale (CCNL della Formazione Professionale) di 800 ore d’aula che quella psicologica delle 1000 ore, anche tenuto conto che la media regionale delle ore per docente si attesta circa alla metà di quanto io abbia erogato. Un bel successo quindi, sia di riscontri (visto che molti allievi si sono trovati bene e sono ritornati a proseguire il loro percorso di crescita personale) che di opportunità di analisi, quasi a livello demografico. Già, perché la massa di persone che è passata sotto le mie grinfie è stata involontariamente sottoposta ad un velato screening sui comportamenti ed atteggiamenti riguardo la “res informatica“, che a portato (me) ad identificare diverse problematiche.
Sovrastima dei requisiti professionali
Buona parte dei miei corsi sono stati praparatori alla Certificazione E.C.D.L. (Core Start, Core Final e Core Full) che, rispetto a quella di “e-Citizenship“, è dichiaratamente orientata a costruire lo standard di competenze informatiche da spendere in ambito professionale (impiegatizio). Già nei programmi didattici cui noi docenti dobbiamo attenerci appare chiaro – per chi sa leggerli in modo critico – un approccio alla materia tutto fuorché “ecologico” (da scienza teorica anziché da scienza applicata), con gli allievi che, per seguire pedissequamente i contenuti corsuali, dovrebbero avere già almeno alcune competenze pregresse (da standardizzare, appunto) e non dovrebbero essere appena evengelizzati da zero. Situazione, invece, da cui parte la maggioranza..
Già qui saremmo messi male, con le persone che, appena informate dei punti costituenti i programmi, si scoraggiano (anche e soprattutto perché non sanno valutarne il reale – spesso minimo – impegno richiesto); difficile spiegare loro che, a loro, per una stampata, in un qualunque ufficio verrà richiesto soltanto di schiacciare un pulsante, mentre le eventuali pene riguardanti installazione, configurazione e manutenzione di una stampante saranno deputate all’ulcera del sistemista di turno (o del collega “informatico” di turno), che di norma sarà il bersaglio di qualsiasi altra richiesta di supporto, anche la più idiota..
Tutto, insomma, appare tanto ed a dir poco arduo da imparare completamente (per chi non lo conosce). Da bravo proto-psicologo sociale mi sembra che pure qui abbia fatto capolino un corollario della “dissonanza cognitiva“, del tipo «se descrivo le competenze alla base del mio lavoro come difficili allora il mio lavoro è difficile, ed io sono bravo in quanto sono in grado di svolgerlo..». Posso accettarlo per la creazione di script in VBA, che richiedono una preparazione specifica, ma questa prospettiva non può essere applicata anche alla formattazione del testo in maniera indifferenziata: a priori le persone non possono capire la differenza.
Alla fine tocca al docente ridurre la “minaccia percepita” (anche perché non tutti possono permettersi di dedicarvi tempo oltre alle ore di corso), spiegando pure – ed è questo il vero nodo in questione – che la maggior parte dei colleghi che incontreranno nel lavoro che (eventualmente) avranno trovato grazie a queste nuove competenze, in effetti, sapranno utilizzare il 5-10% delle funzioni delle applicazioni trattate nel corso; e che questo non è un difetto, ma la quotidianità d’ufficio, quando va bene..
E via a raccontare aneddoti dimostrativi sui propri colleghi di oggi e di ieri…
Sovrastima dei requisiti non professionali
Va anche detto che una concreta parte dei partecipanti a questi corsi non vi si è iscritta soccombendo alla popolare superstizione, peraltro tanto imprecisa ed incorretta quanto assillante, che «senza sapere di computer non si trova lavoro»; soltanto in pochi frequentano per ragioni curricolari – fra i quali la maggioranza necessitano solo di un pezzo di carta che testimoni che sanno fare ciò che fanno ogni giorno al lavoro –, mentre i più sono spinti prima di tutto da un personale – oserei dire genuino, visto che anche io cominciai non certo per necessità.. – interesse.
Il fine della maggioranza, infatti, è prima di tutto padroneggiare gli strumenti di informazione e comunicazione, in una parola Internet (navigazione WWW e posta elettronica, ai quali, se scappa, io aggiungo instant messaging e un minimo di netiquette), sapere maneggiare quel che basta la videoscrittura e, ovviamente, prendere confidenza con quel coso chiamato personal computer.
Anche per raggiungere questo risultato, limitato rispetto agli obiettivi del corso – che vorrebbero ci si sapesse arrangiare sia con la videoscrittura che con i fogli di calcolo –, le prospettive, inizialmente, sembrano ai partecipanti poco rosee, chi per l’età (magari avanzata) e chi per supposta idiosincrasia verso il coso e tutto ciò che esso rappresenta.
Per questo – ed il mio passato da human interaction designer certamente mi da una mano – sono costretto a spendere ore a spiegare che, a differenza di tante “materie” in cui all’utente finale è deputata la parte maggiore di sforzo per l’apprendimento, nella res informatica – almeno per quel che concerne l’end user statisticamente più probabile – questo impegno è (o dovrebbe essere..) ridotto al minimo dalla Progettazione. Una progettazione volta a realizzare strumenti stupid proof, tanto che i miei allievi spesso si sentono apostrofare con: «dovete fare gli stupidi, se farete (troppo) gl’intelligenti non saprete cogliere la naturalezza degli aiuti che in ogni angolo troverete..!».
Se dal punto di vista andragogico tutto ciò da i suoi frutti, perché le persone si rilassano ed effettivamente iniziano a subire tutti gli aiuti possibili che il PC da (dalla metafora della scrivania a tutte le altre impiegate per oggettualizzare gli artefatti cognitivi che costellano l’impiego del computer), è tragicomico il dover argomentare con utenti finali tutto il lavoro che sta a monte. È un po’ come spiegare ai consumatori come vengono indotti dall’advertising ad acquistare anche le futilità più inutili col sorriso sulla bocca..
Sovrastima dei rischi
Qui andiamo al vero nodo della questione. Da quando – più o meno 15 anni or sono – ha cominciato a consolidarsi commercialmente il segmento domestico di utenti/acquirenti, se da un lato l’usabilità dei PC è grandemente aumentata, in modo da facilitare l’accesso e il consumo, dall’altro è stata esponenzialmente radicalizzata la questione relativa al rischio, ovviamente affrontabile dotandosi delle opportune contromisure disponibili in commercio…
Così mi ritrovo allievi che o non cliccano su una qualsiasi finestra di dialogo per paura di beccarsi un virus o che forsennatamente cliccano (per chiudere però) su qualunque cosa nuova appaia sullo schermo nel timore di una violazione del proprio computer. Alcuni di essi sono inizialmente così atterriti da «quello che si sa del mondo dei computer..» (un pout purri indefinibile di malware, phishing, sniffing ed azioni criminali di vecchio stampo) che si bloccano, presi dal panico, ad ogni nuovo passaggio da compiere.
Non c’è che dire, i vari marketing department che hanno spopolato negli ultimi anni con campagne pubblicitarie di stampo terroristico hanno fatto davvero un buon lavoro, dal punto di vista del marketing: (molt)i neofiti hanno appreso che usare un PC equivale ad avere una “bomba” in casa, ma la “squadra esplosivi” è già pronta e disponibile ad intervenire, sottoscrivendo un contratto rinnovabile comodamente ogni anno.. Se penso che molti allievi mi prendono in parte confessandomi di allarmarsi del fatto che il loro antivirus li stia insistentemente minacciando di stare concludendo il suo trial period con finestrine e messaggi di tutti i colori dell’emergenza non posso fa altro che sentire la rabbia crescermi in fondo alle budella..
..E mi tocca spiegare loro come una buona parte delle minacce si concretizzino sfruttando l’ingegneria sociale (con un pizzico di psicologia della percezione e cognitiva), che è poi lo stesso metodo applicato anche per vendere meglio i prodotti informatici destinati alla sicurezza. Del resto: «Quali soggetti possono trarre maggior vantaggio da un livello percepito così alto di minaccia? I produttori di virus o quelli di antivirus? ..Sempreché in alcuni casi non vi sia corrispondenza..».
Fatto sta che, più che insegnare rudimenti di Informatica a questi principianti, a molti docenti tocca fungere da terapisti della riabilitazione comportamentale e lottare più contro le fobie inculcate che contro la naturale resistenza al nuovo.
..Che in effetti non sussiste affatto, tutt’altro..